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Nadia Baldo, fotografa della luce e della bellezza

“Mi piace far diventare belle le cose brutte, mi piace cercare la bellezza dove sembra che non ci sia”

Un’automobile, un piatto e un libro. Con questi tre oggetti si è descritta Nadia Baldo, donna appassionata del mondo e fotografa di professione, che abbiamo avuto il piacere di incontrare nel suo studio fotografico a Trento. Le piace viaggiare, mangiare, leggere e ovviamente… fotografare la bellezza che la circonda, per comunicarla in modo originale e prezioso. La grande esperienza, la professionalità e il suo modo solare di porsi sono le cose che più ci hanno colpito, così come la sua storia, le sue passioni e la voglia di mettersi in gioco sempre, guardando al futuro con positività.

Abbiamo cercato, in questa intervista, di conoscerla meglio e di raccontare la sua fotografia industriale e pubblicitaria (ma non solo), modificatasi nel tempo grazie al progresso tecnologico e ai nuovi media.

Quando hai deciso che volevi lavorare nel mondo della fotografia?

È stato un incontro molto casuale. Ho sempre saputo che l’immagine rappresentava il mio ambito, e con questo intendo qualsiasi cosa che riguardasse l’immagine. Non mi reputo però un’artista nell’accezione classica del termine, piuttosto mi ritengo una visiva, una creativa, un’artigiana. Quando ho finito le scuole superiori mi sono iscritta all’Università, ma ero una ragazza “ribelle”, volevo vivere da sola e ho cercato un lavoretto part-time. È così che ho incontrato la fotografia, un colpo di fulmine.

L’avvento dei social e l’intelligenza artificiale hanno avuto un notevole impatto sul mondo della fotografia, soprattutto per quanto riguarda la fotografia verticale degli smartphone e gli strumenti di postproduzione sempre più precisi e sostitutivi del mezzo fotografico. Che opinione hai a riguardo?

Secondo me, come per ogni linguaggio, dobbiamo essere bravi a vigilare. Il rischio dell’intelligenza artificiale e di tutto questo cambiamento del mondo, di questa bulimia di immagini, e anche della loro facilità di realizzazione (va anche bene da un lato, perché rende popolare e democratico il mezzo), è l’impoverimento del linguaggio fotografico e delle nostre capacità di valutazione e azione. Ai miei studenti [Nadia Baldo è docente di fotografia presso il corso Trentino Alta Formazione Grafica] dico sempre che l’intelligenza artificiale è bellissima, ma che bisogna conoscerla e saperne di più prima di utilizzarla, perché il rischio è quello di venire fagocitati, di non fare più quello che vogliamo, di non esprimerci più, delegando tutto al mezzo. E questo ci impoverisce come esseri umani. Quindi, ben venga l’intelligenza artificiale, ma con molta più attenzione di prima. Tutto è diventato facile, e c’è il rischio di diventare sempre più pigri. E diventando sempre più pigri, diventiamo meno individui capaci di pensare e di scegliere, degli ammassi di consumatori e basta.

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Cosa ne pensi invece della fotografia verticale dei social? Vuoi condividere dei consigli per aspiranti fotografi, soprattutto per quelli che vogliono migliorare la loro tecnica con lo smartphone?

Lo strumento dei social non mi preoccupa. Infatti, faccio corsi di fotografia con lo smartphone scandalizzando i miei colleghi fotografi [Nadia Baldo cura dei corsi presso lo Studio d’Arte Andromeda di Trento, in particolare di postproduzione, riprese video e fotografia con lo smartphone]. Io che uso fotocamere grande formato a corpi mobili, quindi il massimo della grandezza, di dimensioni e di difficoltà d’uso, sono la stessa che insegna fotografia con lo smartphone. Questo perché ogni mezzo è buono per fare immagini, se tu sai cosa dire. Agli studenti e ai ragazzi giovani che vogliono intraprendere questa professione dico:

  • Non fissatevi sulla fotocamera, imparate a conoscere, invece, la fotografia, la tecnica e il linguaggio fotografico.
  • Guardate tante tante fotografie.
  • Studiate.

Nella tua evoluzione come fotografa, a quali modelli ti sei ispirata e ti ispiri? Sono cambiati nel corso degli anni?

I miei modelli sono stati artisti di ogni genere, soprattutto fotografi di still life. La mia passione, infatti, non è tanto la fotografia come comunemente si descrive, cioè la fotografia antropologica (che mi piace, ma come mi piace la lettura), quanto la fotografia fatta di luce, forme, colori e composizioni. Quindi lo still life è il mio. Un mio modello fra tutti, Christopher Broadbent. Nel mio modo di fotografare, per forza di cose, c’è stata un’evoluzione: il mondo cambia, e di conseguenza dobbiamo cambiare anche noi.

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Cosa preferisci in assoluto fotografare e perché?

Una volta non amavo fotografare le persone, forse per la mia insicurezza giovanile. Mi affaticava dover costringere le persone in una situazione. Lavoravo bene con i modelli, perché erano pagati per farlo, e io ero a posto. Ma costringere una persona a farsi fotografare mi dispiaceva, perciò non ero a mio agio. Ora sono molto più sicura a livello personale e professionale, e mi piace tantissimo la relazione, che è sempre stata una delle cose più importanti per me e che oggi mi fa sentire tranquilla. In più, mi piace tantissimo la fotografia industriale, tanto che è diventata parte fondamentale del mio lavoro. Mi piace far diventare belle le cose brutte, mi piace cercare la bellezza dove sembra che non ci sia.

Cosa ti ha spinta a concentrarti sulla fotografia industriale?

La bellezza. Ci tengo tantissimo alle mie foto, perché il fotografo è colui che guarda e qualche volta vede. Io cerco di raggiungere sempre un buon livello e di fare delle foto belle come contenuti ma anche curatissime. La cura in una foto è una forza in più per l’immagine. Non sono tutti d’accordo, ma io sono convinta di questo.

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Riuscire a tradurre le visioni e i desideri dei clienti in immagini fotografiche che soddisfino le loro aspettative non è sempre facile. Tu come gestisci le richieste dei clienti? Come trovi un equilibrio tra le loro richieste e il tuo gusto personale?

Sono stata fortunatissima nella mia carriera lavorativa. Il mio cliente mi propone di realizzare delle immagini sul prodotto; perciò, devo ascoltare moltissimo e leggere tra le righe, perché tante volte il cliente non è un visivo o non ha un’idea chiara di quello che vuole. Quindi, devo ascoltare tanto. Devo dire che, forse per la mia solarità, il rapporto viene facile. In genere è andato bene, e il mio gusto tendenzialmente è piaciuto. È successo poche volte che non funzionasse.

Hai sogni nel cassetto?

Tantissimi. Adesso ho 65 anni, non mi sento stanca o al termine della carriera, anzi! Ho l’energia e la passione che mi muovono sempre. Ho intenzione di andare in giro per il mondo a fare cose legate alla fotografia, alla scrittura, alla relazione e al viaggio, le mie quattro passioni.

Non vediamo l’ora di scoprire dove ti porterà tutta questa passione. E invece, cosa ti manca di più del passato?

Del passato non mi manca qualcosa di particolare, forse ora stiamo perdendo la motivazione. Questo ci rende passivi, ed è rischioso. Ma non si tratta di una nostalgia del passato, è la nostalgia di un modo di essere.

Citazione preferita?

Una frase di Kennedy mi è rimasta impressa: “Non chiedete cosa può fare il vostro Paese per voi, chiedete piuttosto cosa potete fare voi per il vostro Paese”. Al di là dello Stato, mi ritrovo in questo modo di pensare, perché nel mio lavoro e nel mio modo di essere, quando mi relaziono con le persone, cerco sempre di essere a posto con me stessa. Ma il mio slogan in assoluto è “Why not”.

E con questo slogan si chiude la nostra intervista, che fa rimanere aperta la curiosità per i progetti di Nadia e per la sua voglia di scoprire il mondo. Una donna che ama il suo lavoro di fotografa e insegnante, e che nei suoi lavori e progetti vuole trasmettere il valore della bellezza e della vita.

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